Lo scenario di mercato dell’acqua minerale: verso una crescente complessità.

Il macro-trend della sostenibilità ambientale nelle scelte di consumo sta ormai pervadendo una molteplicità di settori.

Non fa eccezione quello delle acque, dove si configura uno scenario in profonda evoluzione, caratterizzato da minacce/opportunità per i diversi player che vi operano.

Partendo dal mercato delle acque minerali, è noto che storicamente l’Italia sia tra i principali Paesi al mondo per il consumo di acqua in bottiglia.

Le ragioni sono molteplici, tra cui:

  • un radicale e diffuso sentimento di sfiducia verso le Istituzioni, ovvero coloro che dovrebbero garantire la purezza dell’acqua che arriva nelle abitazioni attraverso il rubinetto;
  • la storica funzione “segnaletica” del consumo di acqua in bottiglia, come indice del benessere raggiunto, in un Paese, come l’Italia, che ha visto lo sviluppo industriale e dei consumi in ritardo rispetto ad altri Paesi europei;
  • prezzi inferiori rispetto alla media europea.Nonostante la congiuntura difficile, questo dato è confermato ancora oggi: il nostro Paese rimane il primo in Europa per consumi pro-capite di acqua minerale (mentre lo “storico primato mondiale” ci è stato recentemente sottratto dal Messico).Nel 2009 Gfk-Eurisko ha stimato un mercato interno che vale 11,5 miliardi di litri, una crescita della penetrazione assoluta nelle famiglie (che tocca ormai il 98,5 % del totale) ed un incremento del 2,3% delle vendite in valore (a fronte di una contrazione delle vendite a volume di circa il 2%).

    Emerge, quindi, una chiara capacità dei player del mercato “delle minerali” di sostenere i prezzi grazie all’introduzione di:

  • novità riguardanti il packaging, con confezioni dal design ergonomico, pack in bio-plastica, in materiale riciclato e bottiglie caratterizzate da un design ricercato e raffinato, indirizzate soprattutto al canale ho.re.ca (emblematico è il caso dell’acqua Filette, che abbiamo ospitato per un seminario ad Urbino qualche mese fa);
  • formati sempre più vari, per adattarsi a differenti modalità di consumo: a casa, fuori casa, per attività sportive (con tappi “push & pull” e bottiglie “squeezable”), ecc;
  • varianti di gusto, con aromatizzazioni di erbe, vitamine, minerali ed edulcoranti (si pensi, fra tutte, alla linea San Benedetto “Formula Zero”);
  • politiche di differenziazione psicologica, alcune anche molto originali ed evocative (quanto discutibili), come nel caso dell’acqua Mantra, di cui già abbiamo parlato;
  • scelte di posizionamento sempre più mirate e chiaramente definite: dalle storiche valenze terapeutiche di Fiuggi (per adulti) e Sangemini (per bambini), si passa alle proprietà digestive e drenanti di Uliveto/Rocchetta (con il pay-off “acque della salute”), alla purezza di Levissima e alla leggerezza di Sant’Anna (senza sodio), fino all’effervescente naturale di Ferrarelle (cui si è allineata con successo Lete).

    Sembra, poi, che i forti investimenti in comunicazione producano ancora risultati positivi sulla brand image delle etichette. Secondo Nielsen, l’identificazione di un consumatore con una precisa marca è molto elevata: il 77% dei responsabili d’acquisto italiani, infatti, è già orientato verso una specifica marca o un range ristretto di marche prima di entrare nel punto vendita.Come anticipato, poi, le aziende del settore si devono muovere in un rinnovato contesto, caratterizzato da una nuova coscienza critica sulle problematiche socio-ambientali del consumo di acqua in bottiglia, che sta orientando molti verso scelte maggiormente sostenibili.

    Basti pensare a:

  • i movimenti civili in difesa dell’acqua come bene pubblico essenziale, da tenere al riparo da logiche di gestione dei privati esclusivamente orientate al profitto;
  • la maggiore consapevolezza mondiale sulla crisi di risorse idriche, dovuta sia alla crescita del consumo globale di acqua, sia ai fenomeni di innalzamento della temperatura terrestre;
  • i movimenti di sensibilizzazione sulle esternalità negative del consumo di acqua in bottiglia, dovute al ciclo totale di produzione, trasporto e smaltimento della plastica.

    Questi trend stanno ormai attivando vari progetti di risposta da parte dei produttori di acqua in bottiglia:

  • Sant’Anna (il miglior performer nell’ultimo anno nel mercato italiano) con “Bio Bottle” ha ideato la prima pack 100% vegetale;
  • San Benedetto, in una logica di “mega-marketing”, ha stipulato con il Ministero dell’Ambiente un accordo per la promozione di progetti di neutralizzazione dell’impatto dell’acqua imbottigliata sul clima. Inoltre, ha realizzato delle bottiglie eco-friendly, con minore quantità di plastica (e conseguente riduzione del consumo di acqua ed energia nel processo produttivo);
  • Levissima ha alleggerito del 14% il packaging in pet di uno dei suoi prodotti di punta (acqua naturale da 1,5 litri), cambiando anche il materiale dell’etichetta (dalla carta al nuovo materiale ecologico Opp);
  • Lilia ha rivisto le confezioni, ora più leggere e con etichette più piccole;
  • Lete è focalizzata da anni sull’utilizzo di energie rinnovabili per il proprio fabbisogno energetico;
  • Ferrarelle ha aderito al progetto “Impatto Zero”, che prevede la compensazione delle emissioni di co2 prodotte attraverso la rigenerazione e la conservazione forestale.

    Ma queste scelte, sostanzialmente reattive e di impatto limitato, saranno sufficientemente credibili e forti da evitare l’emorragia nei consumi di acqua, a fronte di soluzioni a “reale” impatto zero?In realtà, qualcosa si sta muovendo:

  • da un lato, molti amministratori locali puntano alla diffusione del consumo di acqua del rubinetto (per motivi economici e sociali);
  • dall’altro, i produttori di sistemi di affinamento dell’acqua del rubinetto e di caraffe con sistemi di filtraggio intendono sfruttare la sfiducia ed i sospetti verso i controlli pubblici e si pongono come soluzione “di compromesso” (più rassicurante e sostenibile) rispetto al consumo in bottiglia.

    Per quanto riguarda l’azione del Pubblico, sono ormai numerose le campagne locali a favore degli acquedotti municipali e di un uso consapevole della risorsa idrica, soprattutto in alcune regioni del nord-est.Interessanti sono anche le partnership che si stanno realizzando tra diversi Comuni e Regioni per promuovere il consumo dell’acqua “a chilometro zero”.

    Ad esempio, Comuni di Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna hanno sottoscritto un accordo che prevede alcuni impegni forti:

  • l’eliminazione dell´acqua in bottiglia da mense e distributori automatici che si trovano nelle sedi comunali e nelle scuole;
  • il lancio di una campagna informativa sulla qualità e l´affidabilità dell´acqua potabile;
  • la distribuzione di caraffe e simili per utilizzare l’acqua del rubinetto;
  • l’utilizzo di tecnologie avanzate per i controlli sanitari.
E’ chiaro che queste azioni favoriscano i produttori di sistemi di filtraggio/purificazione, che stanno focalizzando la propria comunicazione sui vantaggi dell’acqua del rubinetto rispetto alle minerali e in particolare su:

  • il risparmio di tempo e la maggiore comodità di trasporto;
  • il risparmio di denaro rispetto al consumo di acqua minerale (“con il consumo di una bottiglia di marca si pagano mille litri di acqua del rubinetto”), mirando anche al canale ho.re.ca., con un calcolo dettagliato del margine giornaliero dovuto alla sostituzione dell’acqua in bottiglia con i sistemi di depurazione.

    Inoltre, diversi produttori (come Culligan) stanno promuovendo delle campagne informative che mirano a sfatare i “luoghi comuni” sulla presunta maggiore garanzia di controllo delle acque in bottiglia (rispetto agli acquedotti pubblici) e sulle maggiori proprietà curative/terapeutiche delle acque confezionate, anche in sinergia con gli Amministratori pubblici.Insomma, anche nel florido mercato italiano delle acque sembra che le insidie per i produttori di minerale siano tutt’altro che trascurabili e passeggere e che possano anche ridisegnare lo scenario competitivo del settore.

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