Sharing di qua, sharing di là… Ma siamo sicuri sia “una roba nuova”?

Ci dicono, in tutte le salse, sempre più spesso, che siamo entrati in una “nuova era”, ovvero l’era della condivisione, dello sharing.

In effetti, è uno di quei termini che, oramai, tornano buoni in ogni occasione. Usati e abusati, soprattutto. Oramai è tutto sharing… Senza sapereUber che in gran parte dei casi in cui si parla di sharing, di sharing c’é molto poco…

Per capirci, come si fa a parlare di Airbnb e di Uber come casi emblematici della sharing economy? Siamo molto fuori strada…

In entrambi i casi, si tratta, infatti, di “normali” servizi di accomodation e di trasporto persone, che si differenziano da quelli usuali per il fatto che:

– il servizio viene prodotto da parte di “persone comuni”, ovvero non necessariamente “operatori del settore”, con partita Iva, annessi e connessi (da qui, un sacco di polemiche e malcontento da parte di coloro che “lo fanno per mestiere”, in assenza di provvedimenti normativi che ristabiliscano un equilibrio accettabile da parte di coloro che sono coinvolti dal fenomeno);

maggiore flessibilità e velocità nell’utilizzo dei servizi, con l’intermediazione svolta dalle ICT (web e app).
Cose simili potremmo dirle per il car sharing (es: Car2Go) e per il car pooling (es: BlaBlaCar), di cui avevamo parlato.

Il vero sharing, invece, è fatto di vera condivisione, disinteressata, o meglio, mossa esclusivamente o prevalentemente da motivazioni di tipo relazionale e mutualistico.

In quest’ottica, si avvicinano molto più a questo concetto progetti come Gnammo, Foody, o in generale il social eating, oppure ancora progetti Cena-Gnammocome quello degli amici di Tripsy.

E di start-up di questo tipo ne vediamo nascere quasi ogni giorno, oramai.

Però, più le osservo e più mi domando, “ma cosa c’è di nuovo, di innovativo in tutto questo? Davvero non si tratta di qualcosa che esiste dalla notte dei tempi e che è nella natura stessa del vivere quotidiano dell’uomo?”

Beh, sì e no, o meglio, è indubbio che questa pazza e inaridita società (vi ricordate il post in cui si parlava di coloro che pagano “per essere ascoltati”?) abbia perso per molti versi la ragione e l’orizzonte.

In questo senso, vale anche la pena chiedersi quale sia stato e sia il ruolo dei social network, e, soprattutto, gli effetti che da questo punto di vista essi potranno avere sui cosiddetti “nativi digitali”.facebook-ragazzi-633x350

Ci siamo persi le cose semplici e ora ne abbiamo maledettamente bisogno.

Abbiamo bisogno di calore, di relazioni, di autenticità, di condivisione, di mutualismo, di fare per gli altri per il piacere di farlo, di partecipare a progetti belli e aggreganti, che esaltino i vissuti, le esperienze e il sentire di ciascuno.

Ecco allora spiegato perché:

– taluni siano disposti a pagare per vivere anche le esperienze più elementari, arcaiche, genuine, di relazione con sé stessi, con l’ambiente circostante, con un passato di cui magari non si conosce nulla, come – caso emblematico – l’esperienza contadina;

– gli eventi turistici di maggiore successo negli ultimi anni siano quelli basati su relazioni e riscoperta dei territori più autentici (li abbiamo chiamato “eventi mediterranei”);

– molti territori, sagacemente, e secondo molteplici traiettorie, si stiano posizionando, anche qui, su lentezza, calore, ascolto, relazioni.

Tutto molto bello, dalla mia prospettiva. Direi, meglio tardi che mai. Forse ci stiamo accorgendo di dover recuperare il senso profondo di molte cose essenziali, come racconto nel mio libro.

In effetti, come dicevo poc’anzi, tutto questo genera tante opportunità nell’ottica dello sviluppo territoriale-turistico di molti nostri luoghi, spesso di quelli meno conosciuti e battuti dai circuiti del turismo nazionale e internazionale. Luoghi in cui la condivisione (o sharing) non rappresenta l’eccezione, ma la regola, e dove quindi:

condividere il pasto (“social eating“) anche con sconosciuti è assolutamente normale;

condividere il forno per la cottura del pano è un gesto identitario;pane

dare un passaggio in auto (“car pooling“) per il piacere di farlo è scontato;

lasciare un caffé o un pasto pagato (“dono“) per chi magari non possa permetterselo, o comunque, anche qui, non necessariamente per un amico o un familiare, è un piacere quotidiano e non un gesto indotto.

Di volti, storie e luoghi di questo tipo parla questo sito, che vi consiglio caldamente.

Buona vita, a tutti voi!

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