La ricerca della felicità: si apre un nuovo scenario.

C’è la Crisi, i numeri dell’economia peggiorano, le persone hanno paura.

Ma come stanno realmente le cose? Quanto eravamo felici o infelici prima della Crisi? Quanto la Crisi ha peggiorato le cose, se lo ha fatto?

Il punto è questo: fino ad un certo livello di reddito, la situazione economica personale è fonte di possibili disagi ed inquietudine. In questi casi, “un’unità di denaro in più” crea maggiore tranquillità, quindi maggiore felicità.

Passata una certa soglia di reddito disponibile, però, l’aumento della ricchezza non determina necessariamente l’aumento della felicità, che si lega ad altri aspetti e segmenti della vita di ciascuno, che tendono proprio ad essere trascurati quando si alloca il proprio tempo a beneficio di lavoro, carriera, arricchimento.

Già negli anni Cinquanta l’economista Tibor Scitovsky si chiese quale fosse il prezzo del progresso economico,  suggerendo che la crescita economica in Occidente abbia prodotto reali miglioramenti in termini di standard di vita, ma che questi non si siano tradotti in maggiore tempo libero, che è, invece, un’imprescindibile fonte di felicità.

Fra i driver della felicità vi sono in primis le relazioni (all’interno della famiglia e non), che tendono ad essere penalizzate in una società che corre verso l’obiettivo dell’accumulo e dell’iperconsumo.

Di tutto questo ci si sta rendendo conto, assieme al fatto che il mondo sembra andare abbastanza a rotoli e che, in particolare, l’ambiente e gli equilibri della Terra sono messi sempre più sotto stress e a rischio.

Del resto, una crescente letteratura nell’ambito della Filosofia e delle Scienze Sociali evidenzia come la nozione di “benessere” dovrebbe essere riformulata, agganciandola a fattori come le relazioni, il rapporto con la Comunità di appartenenza e – appunto – l’Ambiente.

Di fatto, in molti iniziano ad interrogarsi (alcuni perchè impauriti; altri perchè in quei valori credono fermamente) su quali siano le cose che contano realmente nella vita e modificano di conseguenza le proprie condotte.

Da qui, ad esempio, lo slowliving, o il ritorno al baratto e, più in generale, l’affermarsi di una visione critica della società e dei consumi.

Va precisato che i nuovi modelli di consumo non si esauriscono in “nicchie contestative“, bensì abbracciano, in modo più ampio, una visione innovativa dell’edonismo e del piacere, ovvero: il “poco ma buono”, la lentezza (come visto), la “densità delle relazioni“, (in parte) l’autoproduzione, la maggiore “sobrietà“, la maggiore semplicità.

Fu l’economista e demografo americano Richard Easterlin nel 1974 ad aprire il dibattito attorno al cosiddetto “paradosso della felicità” (oggi rinominato anche “Easterlin Paradox“).

I suoi studi arrivarono ad evidenziare che:

  • all’interno di un dato Paese, in un dato momento, la correlazione fra reddito e felicità non è sempre significativa e robusta e, superata una certa soglia, le persone più ricche non sono sempre le più felici;
  • il confronto fra Paesi non mostra l’esistenza di una correlazione significativa fra reddito e felicità e i Paesi più poveri non necessariamente risultano essere meno felici o significativamente meno felici di quelli più ricchi;
  • nel corso del tempo, la felicità delle persone sembra dipendere molto poco da variazioni di reddito e di ricchezza.Tutto questo, chiaramente, va interpretato con le dovute “cautele”, nel senso che bisogna partire dal presupposto che sotto un livello minimo di ricchezza la povertà può diventare un vincolo insuperabile alla sopravvivenza dignitosa delle persone, quindi alla loro felicità.

    Su questi temi sociologi ed economisti stanno in buona misura convergendo, ritenendo la “ricerca della felicità” un must della nuova società, quindi un imperativo anche per i policy maker.Non è un caso che molti governanti (centrali e locali) stiano introducendo sempre più spesso questo nuovo lessico nel proprio public speaking, cercando di strutturare di conseguenza le proprie scelte di governance e valorizzazione del territorio.

    Fra i vari casi, citiamo quello della Provincia di Pesaro-Urbino, che sul tema della Felicità ha incentrato il proprio manifesto programmatico a medio-lungo termine, arrivando anche ad organizzare, nel 2011, il primo Festival della Felicità.

    La logica è: “non possiamo e – in parte – non vogliamo diventare la provincia più ricca d’Italia, ma teniamo molto ad essere quella più felice, o almeno fra le più felici”.

    Da qui, una serie di interventi collegati, come, in particolare, l’impulso alla realizzazione di spazi verdi, di occasioni e spazi dedicati alla socialità, di spazi e strutture per la pratica di sport all’aria aperta.

    Sono sfide importanti, che possono scontrarsi con la pesante situazione determinata dalla Crisi, ma il futuro si gioca in buona misura su queste basi.

    E il marketing?

    Beh, deve rivedere molte delle sue premesse ed orientarsi a nuove pratiche, che mettano realmente al centro l’individuo, con le sue nuove esigenze, aprendosi ad una maggiore collaborazione (sentita o strumentale) con gruppi reali di consumatori (ma soprattutto di “persone”) e, nel complesso, con la società (ottica del “societing“), per imparare a coevolvere sinergicamente con uno scenario che sta cambiando molto, dove “saper lavorare sul prodotto” potrà non bastare più.

    A breve continueremo su questo filone, indagando il rapporto fra sviluppo dei social network e felicità.

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