Influencer io? Sì, il macellaio che fa tendenza.

Continuiamo con il filone degli influencer “fai da te”, autentici, che partono da zero, imparano, crescono e diventano dei veri punti di riferimento.

Probabilmente rappresentano la ripartenza, la nuova fase dell’influencer marketing, quello vero, sano, intrigante, veramente coinvolgente, sostenibile.

E parliamo di chi racconta, approfondisce, celebra il quotidiano, le cose vere, la propria visione del mondo, spinto da una passione-guida.

Non, quindi, chi lo faccia per “crearsi un personaggio”, bensì chi senta il bisogno forte, insopprimibile, di condividere con gli altri il proprio sapere, le proprie esperienze, magari per fare assieme “un po’ di differenza”.

Dal caffè dell’altra volta, ci spostiamo sulla carne.

Vi racconto la storia di Lorenzo Rizzieri, “il mio macellaio”.

Davvero un tipo tosto, un vulcano di idee, tutta passione e umiltà, con tanta e continua voglia di imparare.

Uno che il marketing lo sta applicando, un po’ alla volta, sempre meglio, dimostrando quante cose straordinarie in realtà le piccole imprese possano fare.

Vi racconto la storia di Lorenzo, il “macellaio influencer”, perché è bellissima.

Il ritratto di un’Italia che fa e non si ferma, mai, con progettualità e tanta voglia di mettersi in gioco, ma anche con la consapevolezza che oggi le cose si debbano fare diversamente, che sia necessario presidiare spazi nuovi, che vi siano opportunità straordinarie, che sarebbe un peccato non cogliere.

E con la chiara idea che se ti attrezzi bene, una fase come questa possa fare male di meno, molto di meno.

Un muoversi in continuazione per essere sempre un passettino avanti, pronti ad affrontare il cambiamento.

Se vogliamo, una sorta di “manifesto” per le nostre piccole imprese, che hanno sì bisogno di un sostegno forte, in una fase del genere, ma che devono anche aiutarsi da sole, aprendosi ad un mondo completamente nuovo.

Quella di Lorenzo è anche una bel caso di “passaggio generazionale”, riuscito.

Dal padre al figlio, con il contestuale passaggio da una logica di (ottima) bottega di paese e rapporti di vicinato a una grandiosa esperienza complessiva, multicanale, guardando a tanti diversi pubblici, con proposte forti, di valore.
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Un passaggio generazionale riuscito alla grande, quindi, perché il passato non viene spazzato via, ma viene messo sapientemente al centro di un nuovo progetto, fatto di tante cose in più, pur mantenendosi saldamente ancorati ai sani valori fondanti tramandati di padre in figlio.

Quello di Rizzieri è un caso da manuale, per tante ottime ragioni:

🔴 l’importanza dell’identità visiva e di una comunicazione integrata e coordinata, perché l’armonia di segni e simboli premia, creando le basi per un posizionamento riconoscibile e distintivo;
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🔴
l’importanza di saper delegare, saper rischiare, saper riconoscere le competenze altrui. Un investimento, su se stessi e sul brand;

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🔴 il punto vendita concepito come “vetrina esperienziale”, con elementi di servizio, ma anche tanti fattori d’atmosfera, per esaltare i momenti di contatto fra clientela e brand;

🔴 l’intuizione della multicanalità, anche su piccola scala, con tante diverse soluzioni d’acquisto e consegna, anche oltre i confini del mercato locale;

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🔴 il posizionamento ampio. Non venditori di carni, ma esperti “curatori”.

Selezionatori del buono, del sano, del sostenibile.

Nessuno spazio per la chimica, attento presidio della filiera, rispetto dei riti della natura e del benessere animale, perché, sì, chi lo dice che allevamento e produzione di carne debbano essere sinonimi di sfruttamento e brutalizzazione?

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Su questo, peraltro, si può e si deve aprire un dibattito nuovo e più profondo fra vegan e non vegan.

In tutto questo, tanti sforzi per “educare il consumatore”, per trasferirgli delle competenze, con un ruolo centrale giocato dallo storytelling digitale, con il blog, FacebookYoutube e Instagram;

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🔴 il personal branding (quello dell’influencer), che accompagna lo sviluppo d’impresa e si intreccia con politiche di branding “corporate” e di prodotto;

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🔴
un portafoglio attività di business che si sviluppa in modo progressivo, in linea con il posizionamento, e intercetta nuovi mondi.

Quindi la formazione agli addetti ai lavori (con l’apertura di una vera e propria Accademia e un catalogo di esperienze formative), il catering di livello, le forniture stellate (ad esempio la partnership con Alajmo), la ristorazione di qualità, da fare in prima persona, “a casa propria”.

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E al bancone?

Non solo carne, ma una gamma molto profonda, con tante varianti e i propri trasformati, perché anche in questi casi si può parlare di ricerca e sviluppo e di know-how che fa la differenza;

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🔴 l’attenzione sistematica alle partnership di spessore, non inseguendo per forza nomi altisonanti, ma ricercando soprattutto la comunanza di valori.

E’ il caso del contadino che lavora su un bio “vero” o il laboratorio del pane che fa ricerca sui grani antichi, e così via.

Ma non basta, perché per chiudere il cerchio, in una fase del genere, i partner li si chiama tutti a raccolta, a vantaggio del network e del cliente, organizzando ogni sabato una sorta di fiera del buono, del sano e del locale.

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Con le dovute proporzioni, per capirci meglio, quello che molti si sarebbero aspettati da un player come FICO.

E chissà quante altre cose il buon Lorenzo starà escogitando mentre termino questo post… Sempre che non si sia arrabbiato per essere stato definito un influencer! 🙂

Se le nostre piccole imprese si apriranno a un marketing di questo tipo (smart, incrementale, ma con un progetto, umano, esperienziale, relazionale), beh, abbiamo davvero molto terreno su cui costruire un nuovo futuro.

Sì, perché sul prodotto siamo fantastici, la voglia di fare, creare e lavorare non ci manca. Se aggiungiamo un po’ di tecnicismi nel rapporto con il mercato… bingo!

Ma ci vuole apertura, tanta.

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