Le Botteghe del Commercio Equo e Solidale come luoghi esperienziali.

Profumi, luci, colori, l’atmosfera

Chi non è mai entrato in una bottega del commercio equo e solidale?

Che ci si entri per curiosità o per forte coinvolgimento valoriale, la sensazione è probabilmente la stessa: ti senti immerso in un’esperienza sensoriale accattivante.

Sono quasi sicuro che questi spazi non siano stati concepiti “a tavolino” con questo intento, ma “finiscono per essere esperienziali“; direi che lo sono intrinsecamente.

Se poi alla stimolazione sensoriale diretta si aggiunge il ricordo (per chi c’è stato) o la prefigurazione dei luoghi affascinanti da cui provengono gli ingredienti dei prodotti in vendita (per chi non c’è stato), bene, l’esperienza diventa ancora più forte.

Su questo, forse, soprattutto sul richiamo dei luoghi e delle culture di origine dei prodotti, sarebbe bello fare ancora di più rispetto a quanto si faccia oggi.

Ok, il filone è quello etico, dell’attenzione per le “cause sociali”, ma anche quello dell’interesse e dell’apertura verso il “nuovo”, il “diverso”, l’esotico.

Sì, intendiamoci, molti non conoscono la “formula del commercio E&S” e per taluni la nobile causa alla base di questo interessante format non è nemmeno così rilevante, ma visto che a volte ciò che conta realmente è il fine e visto che oramai la grande distribuzione e taluni importanti produttori industriali hanno fiutato l’opportunità e vogliono cavalcare l’onda, sarebbe bello che questi store (anzi, preferisco parlare di “luoghi“) venissero spinti ancora di più e meglio, sfruttando proprio il loro enorme potenziale in chiave esperienziale, anche nell’ottica della socializzazione.

In effetti, ci vorrebbe un vero e proprio lavoro di affinamento complessivo in chiave di marketing, che potrebbe toccare, ad esempio, i seguenti punti:

a) valorizzare la gamma, da miscelare attentamente in base al contesto locale di riferimento (in alcuni casi andranno spinti, ad esempio, gli oggetti di artigianato, in altri maggiormente l’alimentare, ecc), anche prevedendo innovazioni rispetto alle linee e prodotti esistenti e prevedendo dei “prodotti di punta“. Ad esempio, si pensi alla moda E&S, che è sì presente in questi negozi, ma che è ancora troppo “timida” e talvolta cheap;

b) sfruttare anche forme di segmentazione comportamentale, come le occasioni d’acquisto, ad esempio spingendo con maggiore efficacia la succulenta opportunità delle ricorrenze (cesti di Natale, regali per compleanni, bomboniere, ecc);

c) creare spazi di condivisione e di socializzazione, dove magari poter provare una buona cioccolata, una “fragrante” tazza di caffé e così via, prevedendo anche, perchè no, aperture serali, anche tematizzate, magari accompagnate da un buon film o da una stimolante lettura;

d) mettere a punto una comunicazione più mirata e consistente, soprattutto per ampliare il bacino di utenza a coloro che nulla sanno di questo particolare “mondo”.

In termini di “prodotto”, non scarterei poi l’idea (anche se parliamo di interventi che richiederebbero veri e propri piani strategici di investimento da parte delle organizzazioni di riferimento di questo settore) di aprire dei ristoranti dell’E&S, coerentemente tematizzati, arricchiti da forme sistematiche di intrattenimento e basati esclusivamente sull’utilizzo di materie prime dai Paesi d’origine, con un attento controllo di filiera.

In tutto ciò potrebbe anche starci una commistione (in diverse botteghe dell’E&S già si fa) con tipicità locali di altissima qualità (per valorizzare e premiare il lavoro dei contadini) e/o dall’elevato valore morale (si pensi ai prodotti di “Libera“).

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