Che cosa ha fatto Yvon Chouinard, fondatore, mente e anima di Patagonia…
Una scelta capace di cambiare lo scenario, per sempre.
Un gesto eroico, commovente, visionario.
Ma che cosa ha fatto di preciso?
Quello che in pochi, pochissimi potevano aspettarsi.
Dopo aver creato da zero un vero e proprio gioiello (l’azienda di moda regina dell’upcycling), dal valore di 3 miliardi di dollari, ha deciso di “donarlo al mondo”.
Sì, avete capito bene. Non venderla, ma donarla. Con uno schema interessantissimo:
98% delle azioni a una no-profit (la Holdfast Collective), che riceverà tutti i profitti della compagnia e li userà per contrastare il climate change;
2% a un fondo (il Patagonia Purpose Trust), supervisionato da membri della famiglia Chouinard e da stretti consiglieri, per garantire che Patagonia tenga sempre fede ai suoi principi fondatori e ceda i profitti alla no-profit.
Pulito, lineare, disruptive.
Per capirci ancora meglio: Patagonia continuerà ad essere Patagonia, ma lavorerà ancora di più per il bene del mondo.
E così, d’ora in poi, comprare un capo Patagonia significherà tante cose, tutte in una:
portarsi a casa un gran prodotto, che risponde a un bisogno funzionale;
aderire a un progetto valoriale, con la possibilità di fare la propria parte, di “scegliere da che parte stare”.
Con la certezza che non sia “tutta messa in scena” o “tutta una trovata pubblicitaria”, come si potrebbe pensare, in questi casi.
Un’impresa sana, con un brand d’acciaio e un prodotto di livello, carico di valore. Quello dell’attenzione per l’ambiente (soprattutto), ma anche per il benessere animale. Un’attenzione vera, sentita, identitaria.
Un’impresa che ha sempre messo impegno e attivismo fra le sue priorità, non solo nel realizzare i prodotti.
Qualche esempio?
già dagli anni Ottanta (quando per altri era fantascienza), l’1% dei profitti di Patagonia va a organizzazioni ambientaliste;
già da tempo, Patagonia si è adoperata per allungare la vita dei propri capi, ad esempio con i Worn Wear Tour;
durante i Fridays For Future, Patagonia si è messa in prima fila, chiudendo i propri negozi o trasformandoli in spazi di discussione e lanciando iniziative a supporto, come la piattaforma digitale Action Works, per favorire il networking fra associazioni ambientaliste a livello locale.
Ma ora si volta pagina e si va addirittura oltre, perchè, come campeggia sul sito web dell’azienda, l’unico azionista ora è il Pianeta. Perchè è tardi, tardissimo e non si può più perdere nemmeno un minuto.
Una mossa dal potere mediatico enorme, che ha proprio lo scopo di scuotere gli animi e mettere pressione a tutte le altre imprese.
Già, perchè in un panorama di business in cui proliferano le società benefit (un nuovo tormentone, non sempre pieno di sostanza) e dove i mastodonti del mercato globale ricorrono sempre più a greewashing e green marketing di facciata o al ribasso (mica può esaurirsi tutto nel sostituire la plastica con il cartone, eh!), sentiamo tremendamente il bisogno di chi sappia dare una scossa.
Uno shock di sistema, positivo, che stani chi gioca con parole, promesse e gesti ad effetto.
Ne abbiamo bisogno più che mai, ora che il mondo va a rotoli sotto i nostri occhi.
Lo scenario che sta emergendo riconcepisce il ruolo del business nella società, sfumando sempre più i confini fra la sfera del profitto (come unico risultato che conta, da raggiungere a tutti i costi) e la sfera del benessere collettivo.
In questo scenario, le imprese possono fare la differenza per il bene del mondo. Sono chiamate a farlo, come nuova forma di responsabilità. Come missione dal valore altissimo.
Il caso Patagonia ci insegna che si può fare. Lo fa, segnando la strada per un nuovo futuro.
Caro Yvon, ti abbraccio forte.